Riflessioni sulla terapia sistemica individuale con l’adolescente


Lavorare con gli adolescenti è stimolante ma spesso complesso allo stesso tempo. Frequente è l’idea che tali terapie coinvolgano i genitori, ma non sempre sono disponibili o accettano di mettersi in gioco. E quindi come ci si può muovere? Alcuni punti chiave sono emersi negli anni di lavoro con questa fascia di età e possono essere spunti di riflessione quando si propongono terapie individuali con un adolescente.

  1. Curiosità

Il termine curiosità è ricorrente nel pensiero sistemico. Con curiosità si intende la posizione del terapeuta nel voler scoprire l’altro, apprendere da lui, fornire nuove letture e posizioni all’interno di un sistema. Con l’adolescente la curiosità si può intendere anche “curiosare“ in lui e intorno a lui, cioè scoprire la sua vita (sia nel mondo reale, che virtuale), i suoi interessi e passioni. Approcciarsi all’adolescente diventa quindi considerarlo come persona che sta crescendo e non come persona in una fase transitoria.

Riprendendo una metafora “mettersi delle lenti non di un solo colore, ma che cambiano a seconda del racconto” (Federico Ferrari), che permettano di osservare limiti e potenzialità, rischi e risorse, punti di forza e difficoltà. Può diventare utile a volte anche essere curiosi rispetto ad argomenti che si considerano “non terapeutici”; ad esempio il vestiario di un adolescente ci può dare moltissime informazioni su chi sono, al senso di appartenenza e sui loro valori. Parlare della quotidianità, diventa quindi confrontarsi sulla libertà che hanno di essere ciò che vogliono, proiettandosi nel futuro.

  1. Setting flessibile

In alcuni approcci terapeutici il setting è ritenuto un aspetto primario, ma con l’adolescente è spesso necessario un buon grado di flessibilità. A volte può essere utile  svolgere colloqui all’aperto su una panchina e spesso sono momenti che la persona riferisce come importanti, anche come segnale di apertura dello spazio terapeutico verso il “mondo reale”. Con l’adolescente vuol dire anche portare il mondo esterno nella terapia, tramite l’uso delle tecniche attive, delle foto, della musica, dei film e libri. Vuol dire a volte trovarsi a lavorare per terra, altre con la scrivania o ancora in posizione uno di fronte all’altro.

  1. Timing flessibile

Nel libro “I tempi del tempo” (Luigi Boscolo e Paolo Bertrando) emerge come gli adolescenti siano proiettati maggiormente sul futuro, che risulta spesso essere però nebuloso. Il futuro può mettere ansia, provocare disorientamento e paura; “cosa succederà? come sarò? cosa farò?” non sono domande facili per nessuno, ancora meno in una società di crisi e liquida, come si definisce quella odierna. Inoltre il tempo dell’adolescente è di molto differente da quello di un adulto; si ritiene che un ragazzo passi settimane cadenzate dalla scuola o da vacanze, ma in realtà frequentemente mi è capitato che riferiscono molti più avvenimenti significativi rispetto agli adulti in un tempo breve. Pertanto l’approccio individuale con l’adolescente richiede a mio avviso incontri settimanali, sia per aiutare la relazione, sia per una maggior attenzione alle loro necessità. Anche colloqui “extra” per motivi urgenti possono essere utili, se facciamo riferimento all’idea del terapeuta come una figura di accudimento rispetto alla comprensione di sé. Da questo punto di vista l’utilizzo di colloqui settimanali permette anche la continuità terapeutica, in quanto spesso l’adolescente non si presenta in terapia perché “si dimentica” o perché da priorità ad altro, come impegni scolastici, verifiche impegnative il giorno dopo o l’uscita con gli amici. Tale atteggiamento non sempre va vissuto come negativo. Immaginiamo di avere in terapia un adolescente con ritiro sociale, che ci chiama per disdire all’ultimo perché deve uscire con un amico. Il pensiero deve essere “ben venga!”; uscire con gli amici in alcuni casi è più terapeutico di tanti colloqui. Ovviamente tale aspetto è da considerarsi per alcune terapie e non risulta utile in altre.

  1. Psico-educazione

La psicoeducazione è la spiegazione di ciò che succede a una persona relativamente a un comportamento. Come in altri casi è importante non tanto usarla o meno, crederci o no, ma quando e perché utilizzarla. Infatti, con i ragazzi può servire a volte per aiutarli a comprendere i loro comportamenti, spiegargli cosa succede anche a un livello più tecnico e scientifico. Oppure l’approccio psicoeducativo è utile per le problematiche scolastiche o familiari per proporre delle ipotesi, delle strategie di intervento e azioni, che sarà poi l’adolescente a decidere se utilizzare o meno.

  1. Alleanza terapeutica

Nel caso della terapia individuale è necessario costruire “una sola relazione”, con la persona che si ha davanti. Dare all’adolescente uno spazio individuale può a volte essere un modo per valorizzare il sé della persona come autonoma rispetto al nucleo familiare. Il coinvolgimento dei familiari aiuta il processo terapeutico, ma questo dipende sempre da chi abbiamo davanti e dalla volontà della persona di coinvolgere terzi. In alcuni casi non portare i familiari è una resistenza e allora l’alleanza ha l’obiettivo chiave di “farla cadere”. Alleanza è nell’ottica proposta da Bertrando, ma anche alla necessità di creare un clima emotivo in seduta, dove l’adolescente sa di essere al centro, ma di essere pensato anche al di fuori dello spazio di terapia. In casi estremi (come abusi, maltrattamenti, conflittualità in casa, ecc.) il terapeuta inoltre svolge per il ragazzo il ruolo di figura “buona”, in cui la relazione terapeutica può essere usata dal paziente come modello della relazione da tenere all’esterno, con tutte le attenzioni del caso e un fondamentale lavoro sulla separazione successiva (in cui diventa importante che anche la persona possa decidere di non aver più bisogno del suo spazio). Tutte le teorie sull’attaccamento diventano quindi da tenere a mente nello svolgimento della terapia, ponendosi come figura di accudimento del giovane che cresce, senza creare però un legame di dipendenza.

  1. Resilienza

I modelli di resilienza propongono di riferirsi con questo costrutto “alla capacità di un sistema dinamico di adattarsi con successo a disturbi che minacciano la funzionalità, la vitalità o lo sviluppo del sistema” (Masten, 2011) e “la capacità degli individui di navigare verso le risorse psicologiche, sociali, culturali e fisiche che sostengono il loro benessere e la capacità individuale e collettiva di negoziare perché queste risorse siano fornite in modo culturalmente significativo” (Ungar, 2008). L’adolescente è una persona che affronta sfide quotidiane, tra cui anche quella principale di essere adolescente. Essendo la persona “in costruzione”, spesso è utile un lavoro anche sulle risorse e sul farle fiorire. Tale lavoro è di aiuto per una buona riuscita del percorso e per aiutare il ragazzo a diventare un “adulto di successo”; spesso per arrivare ai traumi o alle difficoltà è necessaria la preparazione dell’adolescente, che ha la necessità di essere seguito “passo a passo”.

 

Un ringraziamento speciale alla Dott.ssa Irene Arcolini che ha seguito il lavoro di tesi di specializzazione da cui è ripreso l’articolo presentato.

 

Dott.Gianluca Gualdi

Spazio Holi Pavia

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